Non è che non ci abbia provato

In Mentors and Lectures, Wine Insights & Thoughts by Alessandro PepeLeave a Comment

Non è che non ci abbia provato.

Non è che non ci abbia provato. Cosa credete?

Almeno una decina di volte l’anno, negli ultimi 15 anni.

Mi siedo davanti al computer e dico: adesso lo faccio. Lo fanno tutti, cavolo! Cosa ci vuole?

Basta poco, le parole sono più o meno quelle, basta invertirle, aggiungere qualche intercalare, una nota di colore, un paio di aneddoti ed è fatta. Si tratta in fondo di poche righe…

Ma niente. Non ci riesco. Se non ci credete, adesso ci provo in diretta. 

Subito l’impatto aromatico è di quelli che ti lasci….

Visto? Non ci riesco.

Si blocca proprio la tastiera. Una curiosa forma di afonia dattilografica.

Quindi la questione è questa

In 20 anni di degustazioni di vino non ho mai, e dico mai, scritto una recensione o una scheda di un vino.

Non ho mai scritto su carta cose come riflessi verdolini, volano alcolico, note di rosa afgana e provo un’invidia profonda per chi ci riesce. Perché per quanto mi riguarda il vino, in quanto tale, lascia il più delle volte senza parole. 

Giusto per chiarire.

La questione non è semantica o culturale

Stia tranquillo il mio amico Romanazzi perché non mi vado ad impelagare sulla questione del gusto che è culturalmente e socialmente definito [che è poi la versione elegante del commento da autobus: i gusti son gusti.. (oppure come diceva prosaicamente mio nonno: le opinioni ed i gusti sono come i testicoli, ognuno ci ha i suoi)].

Nemmeno me la prendo con il gergo tecnico autoreferenziale del mondo del vino, perché allo stesso modo si può dire di tutti i gerghi: critici d’arte contemporanea, medici specializzati, idraulici… tutti a loro modo incomprensibili se non si è del settore.

Non ce l’ho con la questione di quanto è scandaloso il prezzo di alcune bottiglie e tutto il portato semantico che il loro racconto trascina dietro. Per non parlare dell’esposizione sine nobilitate delle etichette bevute, il racconto e le vanterie ad esse connesse.

Non trovo scandaloso spendere 1000 euro in una bottiglia di vino più di quanto non lo sia comprare un cellulare, una macchina, un vestito e tutta quella serie di oggetti-immagine che ci adornano.

Non credo, infine, che sia una questione neurologica (come dice mio fratello neurologo) che l’odorato e il gusto siano sensi primordiali e quindi tecnicamente incomunicabili, perché si dice lo stesso della musica (‘Scrivere di Musica è come ballare di architettura’ Frank Zappa)

Credo che la questione sia prettamente di carattere narrativo e sia un semplice fenomeno, come dice Guglielmo Pepe* (*mio padre), di concretizzazione mal posta. E’ la parte per il tutto o il tutto per la parte. L’idea che un’esperienza sensoriale possa farsi racconto senza palcoscenico, senza azione. Un racconto privo di narrativa, insomma.

E’ come se Proust, una volta assaggiata la madeleine, avesse continuato a descrivere quella sensazione, il gusto, l’aroma, la complessità, la piacevolezza, per 5mila pagine (capite bene che già è faticoso da leggere così com’è).

Ed è normale quindi che tutti questi non racconti sul vino tendano ad assomigliassi a meno che lo scrittore non esuli dal contesto, non personalizzi la scheda con riferimenti culturali od esperienziali. Insomma alla Soldati o alla Veronelli per intenderci, ma a quel punto il vino non è più il protagonista ma solo uno strumento narrativo.

Quindi mi ritrovo con questo liquido nel bicchiere, la pagina vuota e l’incontrollabile desiderio di dissacrare, di far saltare il banco.

Mi ero anche fatto l’idea che siccome si vive in una società dominata dai sensi e dalle risposte pavloviane agli stimoli (salivazione in primis) e ci manca il senso dell’arte delle cose (perché diamine per quanto ci si sforzi non riusciamo a fare ameno di essere umani),  quale miglior sfogo se non l’intellettualizzazione del food and beverage, mettendo l’arte nel piatto e nel bicchiere?

E’ da qui che è nata la mia professione (anche se non so chiaramente quale sia la mia professione). Siamo dei cantastorie organici (organici non nel senso gramsciano ma intestinale) al sistema.

Siamo in fondo dei digestivi culturali. Rendiamo i grassi meno saturi grazie al racconto.

E stiamo per morire. Si, come tutte le professioni di confine, quelle che fanno da tramite, come tutti i filtri che non siano antipishing o adblcok, siamo in estinzione. E aggiungo per fortuna.

Perché quando, in futuro, non ci saranno più i sommelier, i rappresentanti, i giornalisti, gli hardisk portatili, i blogger come già non esistono più le agenzie di viaggio, i teatri, i centri culturali e gli sportelli bancari allora saremo soli.

Soli di fronte ad una bottiglia di vino muta e noi con lei. In una stanza vuota. senza rumore. in un luogo ed in un tempo indefinito.

E l’unica voce che si sente, gli unici rumori vengono da fuori. Sono il rumore di una pressa, manuale o meccanica, di un travaso, di foglie al vento, di chiacchiere in vigna.

Non è un’esaltazione del mondo bucolico e rurale, della tradizione di una volta, del ritorno alle origini. E’ solo un dato di fatto che l’unico racconto disponibile è di chi il vino lo fa. Poi ci puoi credere o meno, dargli credito o meno. Ma oltre a quello c’è il vuoto.

Sono queste le uniche storie che possiamo raccontare, almeno fino a quando il pianeta, questa grassissima e presuntuosa palla piena di cose, ce lo permette.

So che insieme ai sommelier sono estinti pure i manifesti, ma se mai ne avessimo potuto scrivere uno per Tastingspots.com eccolo di cui sopra.

Ora è tardi, la storia è finita. Spengo la luce e buonanotte.

siete ancora svegli?

Allora ve ne racconto un’altra.

Se proprio non riuscite a fare a meno di raccontare il vino ecco un storia-esperimento che vi aiuterà a trovare la pace interiore.

C’era una volta una sera, solitaria, alla fine di un’interminabile degustazione di Champagne. Ecco che come Alice mi perdo nel bicchiere. Letteralmente. Nel senso che comincio a guardare le bolle nel bicchiere ed eccomi gettato in un universo altro. E allora chiamo subìto il mio amico Cinacchi (Aromi Creativi) e gli dico: portami un 100mm macro domani che dobbiamo fare un viaggio nello spazio.

Così il giorno dopo eccoci come due astronauti a viaggiare tra le bolle. Il mio amico Petrucci ci aveva anche messo una spettacolare colonna sonora ma youtube me l’ha censurata. Però il sottofondo potete metterlo voi (consiglio la sonata 111 di Bethooven, Philip Glass, free jazz, musica tradizionale cinese, funky flute e affini)

Siete da soli, caricate questo video (https://www.youtube.com/watch?v=GAoD07fw1s4&t=216s) a schermo intero (con o senza sottofondo) e in assoluto silenzio godetevi lo spettacolo. Dura 15 minuti ma potete metterlo in loop.

Vi assicuro che alla fine non avrete più voglia di parlare di vino ma in compenso, grazie al mio amico Pavlov, sbaverete come cani rabbiosi implorandomi di aprire questo maledetto nuovo locale.

Ci siamo, si ci siamo quasi!!!

Il 9 ho il primo incontro con l’Acea!!

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