ECONOMIA ‘LOCALE’ ED ECONOMIA GLOBALE

In Articles by Alessandro Pepe

Tante sono lo cose a cui bisogna pensare nell’apertura di un nuovo locale.

Di solito si parte dal concept e dal nome. Chi siamo e cosa facciamo. due o tre parole che sintetizzino i nostri intenti. In cosa siamo diversi dagli altri? cosa vogliamo dire? che tipo di esperienza e di atmosfera vogliamo creare? seguono lunghissime ed estenuanti riunioni, che in gergo vengono chiamate brain-storming. Ci si ritrova ad appuntamenti fissi e si discute su cose che non verranno mai realizzate. La questione principale di solito è il nome, il titolo ed il sottotitolo del locale. Noi ne abbiamo trovati alcuni e li sottoponiamo al vostro giudizio:

Circolo degli intellettuali organolettici (copyright S. Fortini)
Il luogo adatto
il posto giusto
Genesi dell’enogastronomia
ci vediamo li
A casa nostra
un po’ più in là
la trasformazione
Come il cacio sui maccheroni
Ma mi faccia il piacere
Rimessa Roscioli
Trattoria tipica milanese
Lo zen è l’arte della presa per il culo dell’enogastronomia
Griciolandia!
Il rospice e il cofice
In fondo siamo tutti camerieri
Dopolavoro Gastronomico
Un posto come un altro
un posto qualunque
un posto inutile
L’alice del Mar Cantabrico e variazioni sul tema
Rossa bianca bruna ed altre sfumature di vacche
Pata Negra e bruscolini
e tanti altri… (nel senso che anche questa era una proposta)

poi si comincia a parlare di concept, di cosa e come lo vogliamo servire. Il menu, la carta dei vini. Selezione di prodotti unici, particolari. E si discute di cose come CRM, social media marketing, brand, geo localizzazione, key words, contest e target. Ci si chiede con quali tipi di filtri e come fare la selezione:

– solo vini che nel nome non hanno desinenze tipo -aia.
– menu dedicati ai vegetariani, vegani, agli allergici alle lettere sdrucciole

Come raccontare il piatto, come servirlo, le luci, i tavoli, il bancone, il colore del pavimento e il colore di porte e finestre (rigorosamente blu). La lama dei coltelli, la curvatura delle punte delle forchette, un tipo di battiscopa che non sia offensivo per nessuna religione. Discussioni dissociate ed irrazionali nelle quali ci si sente di volta in volta una via di mezzo tra un pioniere che con l’apertura del nuovo locale rivoluzionerà il mondo o una casalinga frustrata che deve scegliere quali fiori di plastica mettere nel centro tavola.

inciso:

stavo organizzando un banchetto per Giugno, avevamo definito tutti i dettagli quando una delle organizzatrici mi chiama allarmata: ma dei centro tavola chi se ne occupa?
Io non capivo. Nel senso che i tavoli sarebbero stati tondi e in quanto tali un centro non glielo poteva levare nessuno, cioè venivano col centro tavola di default. Ma lei alludeva ad un non specificato ornamento che va posto al centro della tavola con mera funzione estetica. Ho detto che forse era il caso di organizzare una riunione a riguardo, lei ha detto ottima idea! non cogliendo il mio sarcasmo.

E così sembra che ci siamo quasi. Le energie spese, così distribuite:

67% questioni burocratiche di cui: 98% chiamate al call center di varie utenze
4% studio dei materiali e degli spazi
13% riflessioni varie su concept, nome, titolo, sottotitolo e affini
3.5% litigate gratuite
16,5% rimanere immobili in mezzo al locale senza alcuna idea od energia, la mente vuota il corpo morto
15,5% godersi gli ultimi giorni di libertà
72,45% non riuscire a stare nel budget prefissato
0,05% pensare al perché stiamo aprendo un nuovo locale
59,6% non riuscire a capire come la somma di questa statistica vada ben oltre il 100%

Ma capiterà, malgrado tutto, che si dimenticherà il dettaglio fondamentale. Quell’ elemento ultimo, quel mattoncino senza il quale crollerebbe tutta la struttura. Per quanto ci si sforzi alla fine manca sempre quel piccolo tassello, apparentemente inutile, che permette l’apertura del locale.

Ma io forse l’ho trovato. Si tratta di un piccolo oggetto tondo, di alluminio. Serve a versare il vino, in gergo chiamato dropsaver (salvagoccia). E’ un cerchietto che si mette dentro al collo della bottiglia e aiuta a servire il vino ed evitare che cadano gocce sul tavolo e sui vestiti del cliente.

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Per un locale come il nostro, che ha l’ambizione di essere un wine bar gastronomia ad alta concentrazione di degustazioni è un elemento fondamentale. E così mi metto a cercarlo. All’inizio in modo tradizionale, analogico, ossia entrando in negozi che presumo lo abbiano (enoteche con accessori vino, etc…), Ma niente. Non riesco neanche a farmi capire. Chiedo se hanno un drop saver, una cosa tonda per il servizio del vino, uno mi risponde: ah ho capito, un centrotavola! Allora vado sul digitale. ecco che trovata la parola chiave Google mi mette in contatto con diverse aziende. i prezzi sono vari, ma più o meno parliamo di 7-8 euro per una confezione da 5 cerchietti. In verità mi sembra un po’ tanto. Così continuo a cercare finché non trovo una ditta cinese che con 4 euro, spedizione inclusa, me ne dà 50. Ne ordino 100. L’ultimo tassello del complicatissimo puzzle è stato trovato, ora la Rimessa Roscioli (questo alla fine credo sarà il nome scelto) può ri-aprire.

Però…

qualcosa non mi convince. Nella nostra nota spese, nel budget prefissato, qualcosa non quadra. Certo, siamo ben aldilà dei costi preventivati, è ovvio. E’ una forma di ottimismo monco, diciamo un ottimismo col pessimismo al centro, quello che ogni volta ci fa credere che staremo nelle spese stabilite e non sono certo gli 8 euro di questi 100 cerchietti di alluminio che spostano l’ago della bilancia commerciale.

Però… c’è qualcosa che non mi convince. Qualcosa che mi toglie energie, passione, motivazione. Il giorno dopo l’acquisto di questi 100 cerchietti vado al lavoro, a sistemare gli infiniti dettagli e per partecipare all’ennesima riunione con un senso di svuotamento. E’ come se avessi perso d’improvviso tutto l’entusiasmo e la ragion d’essere di questa nuova avventura. Mi fanno delle domande e rispondo controvoglia, ci sono dei problemi ed è come se non mi riguardassero: il colore dei battiscopa? macchisenefrega. La proposta menu per i vegetariani? altrettanto. Ma saremo aperti a pranzo? Ma che ne so. E l’unica cosa a cui riesco a pensare sono i dropsaver, i cerchietti in alluminio.

Com’è possibile che l’ideazione, la produzione, la commercializzazione, la spedizione di 50 dropsaver possa costare solo 4 euro? Che senso ha tutto quello che stiamo facendo se poi 100 dropsaver dalla Cina alle porte della Rimessa costano 8 euro? Come faccio, a fronte di questa verità commerciale, cruda e spietata, a scrivere un menu, a mettere dei prezzi, a proporre un piatto, un servizio ed un abbinamento.

Il giorno poi in cui arrivano questi salvagoccia la situazione si fa ancora più critica. Non solo sono di ottima fattura, ma ogni salvagoccia è stato imbustato singolarmente in una busta di plastica, quella con la chiusura ermetica, infine le buste raccolte con un elastico in gruppi da dieci. Quindi riprendo il filo del discorso micro-economico: 100 dropsaver arrivano ciascuno imbustato singolarmente con busta ermetica dalla Cina al costo di 8 euro, spedizione inclusa.

E non riesco a pensare ad altro, a concentrarmi. File excel, elenco dati, break-even, costi e ricavi, gestione del personale, ricerca e sviluppo, tutto viene a cadere se non capisco come si possano produrre 100 dropsaver, imbustarli manualmente uno a uno, poi a gruppi di dieci legarli con un elastico ed il tutto metterlo in una elegante e funzionale busta imbottita, applicare un indirizzo e spedirla a Roma in un viaggio di 17.345 km che comprende una non precisata quantità di tappe, scali e mezzi di trasporto.

Mi alzo e chiedo scusa ma devo andare. Continuate pure la riunione senza di me ma devo sbrigare una faccenda di massima importanza. Sarò di ritorno tra poco.

Salgo sulla bicicletta con in mano la busta vuota dei dropsaver. Controllo la provenienza: Baishachong, Changsha, Hunan. La ditta si chiama (traduco a braccio dal dialetto Xiang) ‘La goccia e la roccia’, o forse ‘la forza della goccia’. Non so se si riferisce la potere della goccia di erodere col tempo la dura roccia, oppure la forza che ogni singola goccia ha nell’insieme. Forse si riferisce all’idea di salvare la goccia (di vino), l’idea che ogni singolo ingranaggio , anche il più piccolo sia di fondamentale importanza. Ma può anche darsi che stia traducendo male, magari non si tratta di un dialetto Xiang ma Hoizhou e in quel caso la traduzione sarebbe più simile a ‘ Premiata Fabbrica di accessori per il vino e affini del Cavalier Ion Li e figli’.

Sul sito della Ryanair trovo un volo diretto Ciampino-Pechino a 14.99 euro tasse incluse. Si, avrei potuto atterrare a Shangai con un risparmio di 600 km ma intanto il volo costava 29,99 invece di 14 e poi era un po’ che non visitavo Pechino, per la precisione tutta la vita. Così eccomi in volo. Durante le 15 ore di viaggio cerco di impostare una strategia. Ho mandato una mail prima di partire dicendo che sarei arrivato. Ero un cliente affezionato, interessato a visitare la fabbrica. Chiedevo se era possibile vedere il processo di produzione, il sistema di imballaggio e spedizione e altre cose. Insomma mi propongo come capo di una delegazione composta solo da me stesso volta a creare un virtuale gemellaggio di intenti. Non ho fatto in tempo a vedere se mi hanno risposto (in volo i cellulari si devono spegnere), quindi non sono sicuro se qualcuno sarà lì ad aspettarmi, magari all’aeroporto, con un cartello con su scritto in Mandarino ‘Signor Pepe’. In fondo si tratta di una questione di mercato internazionale. Per quanto assurdo possa sembrare, oggi tutto è connesso. Anche se le logiche produttive di due paesi sono completamente diverse è proprio la rete di relazioni e consumi che rende il sistema di produzione mondiale una meraviglioso organismo equipollente, bilanciato ed efficiente. E’ il principio del caos applicato al mercato. Un operaio imbusta un salvagoccia a Baishachong mentre un milanese apre una bottiglia di Barolo a Trastevere (o giù di lì).

Quindi credo che sarò ossequioso, ma non troppo perché non voglio sembrare Giapponese, mi guarderò attorno con aria distratta, perché non voglio dare l’impressione di voler carpire segreti industriali e quando parlerò del nostro mercato farò intendere che le possibilità di sviluppo sono forse di più di quelle che in effetti sono. Io con 100 salvagoccia ci vado avanti per 1-2 anni, ma a loro farò capire che potrei ordinarne a breve altri 200, se non 3-400.

Sono dispiaciuto ma non sorpreso quando all’aeroporto scopro che nessuno è venuto a prendermi. Non riesco a collegarmi con il telefono ed accedere alla mia mail, quindi non so nemmeno se mi hanno risposto. Rimane solamente da raggiungere Baishachong con i mezzi messi a disposizione dall’efficiente Repubblica Socialista Cinese.

Prendo un taxi al volo e dopo qualche istante di silenzio provo ad interloquire. Il tassista parla molto a bassa voce, in un taxi senza aria condizionata dobbiamo tenere i finestrini aperti, quindi è difficile sentire quello che dice, ha inoltre un accento strano. Mi dice, credo, che è del Guangdong e lavora a Pechino da solo due anni, ma il taxi non è suo, è di una cooperativa che fa capo ad investitori di Shangai. sono 1milione e 250mila taxi e loro vengono pagati a cottimo, in base ai kilometri e al numero di sterzate del volante. Non devo credere che fare business in Cina sia facile. E’ un privilegio di pochi. E pensare che lui, dopo sei reincarnazioni in diversi animali, ancora sconta la pena di essere nipote (o figlio, o forse è lui stesso, dopo tutte queste reincarnazioni non si ricorda neanche più), di un piccolo possidente epurato ai tempi di Mao. Ho sbagliato nei tempi, di 50 anni, mi dice, ma forse è giusto così.

Eccomi in stazione. Non ci metto molto a capire che il treno per Changsha parte ogni 20 minuti, di ultima generazione. L’arrivo è previsto per le 17.50 ora locale. 1 ora e 45 minuti per una tratta di 1650 km, o giù di lì.

Sul treno, di fianco a me una signora sta leggendo Madame Bovary in Mandarino, un bambino (il figlio?) gioca con il telefonino e di fronte un signore distinto, elegante, sulla cinquantina, accenna un sorriso e si mette a leggere il giornale, il Beijing Ribao, che a voler tradurre sarebbe come la nostra ‘L’unità’ ma con più seguito e più tiratura. Noto che mentre legge abbozza un lieve sorriso canzonatorio, come a dire: mica ci credo a queste cose che scrivono, lo leggo così perché mi è rimasto il giornale tra le mani. Poi mi guarda, come se volesse iniziare un discorso ma non se la sente di disturbarmi. Così inizio io. Sa, sono arrivato adesso da Roma. Mi sento un po’ spaesato. Ma dai, dice lui, io vengo dall’Aeroporto di Pechino, dovevo andare a prendere una persona da Roma che non è arrivata. Mah, scusi, sarà mica il Signor Pepe che cercava? Certo, dice lui. Ma sono io. Eh diamine, quando si dice le coincidenze. Vero che a Pechino ci si conosce un po’ tutti, ma il fatto è curioso. E quindi lei è il signor Feng? Precisamente. Ma guarda che roba. E altre frasi di rito. Feng Tao è il suo nome completo che in milanese si potrebbe tradurre con Mariano Castellazzi. E’ General Manager de ‘La forza della goccia’, da circa 4 anni e la mia e-mail, dice, è capitata proprio al momento giusto. Nell’ultima riunione di fabbrica (che non è quello che pensate) si è proprio parlato di espansione nei mercati internazionali e quando abbiamo ricevuto la sua mail ci è sembrato un segno del destino. L’idea di un gemellaggio virtuale e commerciale con l’Italia, in una prospettiva di crescita, etc etc…

Poi eccoci arrivati a destinazione. Una delegazione di 6-7 persone che ci attende.

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Saliamo su di un furgoncino nero che ci porta dritto in fabbrica. Lungo il tragitto una guida mi spiega che la città solo 6 anni fa era un piccolo borgo di contadini di 890 anime ed ora ospita 1800 fabbriche e 16 milioni di abitanti.

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Poi mi parla del progetto dello Sky City (che sarà il grattacielo più alto del mondo) e dello sviluppo della produzione del vino cinese. Solo nella regione negli ultimi 3 anni sono stati piantati 34 milioni di ettari di vigneto, tutti a Vespolina, Lambrusco Salamino e Malbo Gentile. Tecnica di impianto: alberello impupato. Chiedo perché ma non mi sa rispondere.

Dopo 16 ore di viaggio nel traffico di Changsha eccoci alla fabbrica. Uno stabilimento avveniristico tutto blu cobalto tra Beidou Road e Nashan Road. Prima di vedere il processo produttivo sono invitato in una confortevole sala conferenze. Ecco che un dirigente dell’azienda mi sta aspettando per iniziare un discorso di benvenuto che recita più o meno così:

‘E’ con grande piacere ed onore che accogliamo la delegazione italiana ed il suo rappresentante Signor Pepe. Vogliamo credere che la sua visita sia l’inizio di una lunga e prospera collaborazione. Le nostre azioni, ciò che noi facciamo in vita, ciò che noi produciamo non constano solo negli oggetti e nella loro utilità, ma nel loro essere sintesi di un processo globale dove ogni singolo attore, ogni piccolo ingranaggio è fondamentale alla realizzazione dell’opera (e quindi è valida la mia prima traduzione di cui sopra ndr). E’ nell’’atto che noi ci riconosciamo, è nell’atto minuto che noi veramente siamo, etc.. etc…’

Poi passiamo a fare il giro della fabbrica. In realtà è molto semplice. Un’unica macchina computerizzata, che si accende con un bottone, un solo operaio in camice. Fogli di alluminio entrano da una parte e tondini salvagoccia escono dall’altra. Tutto qui. E quindi? Il senso qual’è? Il Signor Feng nota la mia delusione e mi porta in un’altra sala. 12500 operai in un capannone di 74km quadrati (cosi dice la guida), sono gli addetti all’imbustamento.

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Vorrei chiedere al Signor Feng perché non meccanizzare anche quel processo, vorrei anche dirgli che per quanto mi riguarda i salvagoccia mi andavano bene anche non imbustati uno ad uno, anzi è anche più comodo perché non devo tirarli fuori ogni volta. Ma non me la sento di dirlo. In questo meraviglioso e straordinariamente silenzioso equilibrio non me la sento con una battuta di far perdere il lavoro a 12.500 operai e poi in fondo so che sono cose che il Signor Feng sa già. L’ho capito da quel sorriso sarcastico che aveva mentre in treno leggeva il Beijing Ribao. E così, d’improvviso tutto ha senso, tutto è organico. I numeri, i grossi numeri non sono nulla senza i piccoli numeri. I numeri, per quanto vasti ed incommensurabili siano saranno sempre la somma di tanti piccolo numeri.

Ritorno a casa, in mano un amuleto raffigurante un maiale, o forse un cane o un toro o un asino, regalatoci dalla loro delegazione.

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In volo vedo la distesa a perdersi di vigneti e fabbriche, di case e giornali e strade e montagne e mura infinite. Una straordinaria terra operosa e millenaria che regge, con il suo incessante e minuto agire, il telaio del nostro precario sistema. Miliardi di micro azioni che costruiscono senza pausa il senso dell’economia mondiale.

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Ritorno in tempo al locale prima della fine della riunione. Stanno discutendo se il colore dei tovaglioli si abbini bene all’intonaco del palazzo di fronte e dico:

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Il mio posto nel mondo, del nostro piccolo locale, con tutte le questioni, i call center, le bollette, il riciclo, i tempi di consegna, i margini di profitto, gli orari dell’Ama, (solo umido, niente vetro, ma il vetro quando passa? e il cartone? eh il cartone, a voglia…) la carta dei vini e gli ingredienti, la materia prima, e prima ancora della materia, prima… ma prima del prima cosa c’era? Ditemi voi che siete qui che cosa c’era prima?… silenzio… una goccia, semplicemente una goccia, ecco cosa c’era. E se qualcuno o qualcosa in quel prima che fu non avesse salvato quella singola goccia, ricordate miei buoni amici e colleghi, noi oggi non saremmo qui.
E come disse un giorno il pluripregiudicato ultras della Spal
Francesco Casolari: Ora – Bisogna – Bere.